giovedì 12 settembre 2013

L’arte del debriefing: Platone, Gadamer e la domanda

Buongiorno a tutti,

oggi voglio condividere con voi una riflessione nata da tempo nella mia testa e che si è fatta più forte a seguito dell'esperienza vissuta assieme, nella quale è stato sottolineato fortemente il valore della domanda. Ancora una volta la prendo a prestito dal mio blog personale e vi lascio chiedendovi: che cosa rappresenta per voi la domanda?


"Da sempre sono convinta che la formazione esperienziale conservi in sé un approccio metodologico preso a prestito dall’antica arte socratica della maieutica. Pertanto affiancare formazione e filosofia mi è sempre sembrato naturale.

La domanda, come nella formazione esperienziale, così nella filosofia platonica ha un ruolo centrale. Il compito del maestro è quello di fare domande per aiutare il discente a partorire un sapere che già si trova dentro di lui. Socrate era paragonato a un fastidioso tafano proprio per la sua insistenza nel fare domande e la sua altrettanta testardaggine nel non dare risposte ai suoi interlocutori.

Accanto all’idea fondante della maieutica, secondo cui la persona possiede dentro di sé tutte le risorse per trovare delle risposte, esiste un’altra concezione filosofica che si sposa perfettamente con la teoria della riflessione nella formazione esperienziale: la filosofia di Hans Georg Gadamer (1900-2002)[1].

Nella formazione esperienziale il momento dell’osservazione riflessiva dell’esperienza, possiede un grande peso sul piano dell’apprendimento e della ricerca personale di significato. Il filosofo, che scriveva che “l’arte del domandare è l’arte stessa del pensare”, propone “come «logica» propria dell’esperienza ermeneutica, interpretativa, la «logica di domanda e risposta»”[2], dinamica che era prevista dal dialègesthai (il dialogare) platonico.
Lo strumento di ricerca per eccellenza è la domanda, e il sapere, secondo Gadamer, passa proprio attraverso il domandare. Passando per l’esperienza possiamo scoprire che le cose stanno in modo diverso da come si credeva inizialmente e in questo percorso la domanda rappresenta la chiave per pervenire a questa scoperta.

Ma c’è una cosa che più di tutte trovo illuminante della concezione del domandare di Gadamer. La peculiarità della domanda è che da una parte apre al dialogo con l’altro, dall’altra apre a delle possibilità. Interessante è la ripresa del termine greco dialègesthai così come lo intendeva Platone: da una parte come arte del dialogo e dall’altra come arte della divisione, della scelta. Gadamer somma queste due componenti facendo della domanda lo strumento che è “interlocuzione e insieme apertura di un’alternativa”.

In quest’ottica, alla domanda viene riconosciuto un primato e da formatrice ritengo questo rappresenti un grande insegnamento da tenere a mente ogni volta che ci apriamo al dialogo con l’altro."



[1] A partire dagli anni Sessanta del ‘900 si inizia a sentire parlare un nuovo tipo di filosofia: la “filosofia pratica”. Hans Georg Gadamer è uno tra i suoi primi teorici.
[2] Abbagnano, N., 1998, Dizionario di filosofia, UTET SpA Torino



martedì 10 settembre 2013

Un altra forma di Feedback


Credo che l’idea di un laboratorio sperimentale, che sviluppasse una tematica attraverso un percorso esperienziale della durata di quasi un anno, che quindi non si esaurisse in un unico momento formativo di un giorno, abbia rappresentato un momento di crescita e di approfondimento innovativo per tutto il nostro team. Ho provato a sintetizzare con un video emozioni, riflessioni e interrogativi emersi legati alla Resilienza. Spero vi piaccia. Grazie all’azienda, agli sponsor e a coloro che hanno reso possibile tutto questo. Grazie a Stefano per l'ausilio tecnico e di visual creativeness.
 
 

mercoledì 4 settembre 2013

Allenarci alla resilienza già da piccoli: l'equilibrio tra cura e sfida.

Buonasera a tutti! 
Mi inserisco tra i vostri post, numerosi, intensi, emozionanti e ricchi di spinte di ricerca e crescita. Vi vorrei regalare alcune delle mie riflessioni post Vioz, prese a prestito dal mio blog personale . Che possano essere di spunto per ancora altre, nuove domande! :)

"Nello scorso post ho parlato dell'equilibrio tra cura e sfida che caratterizza il ruolo del formatore esperienziale.
Non appena l'ho pubblicato ho iniziato a chiedermi da dove arrivasse questo mio bisogno di sottolineare l'importanza di non pensare alla formazione come ad un fornire risposte e cure in pillole ma come a una sfida costante, in un contesto protetto, certo, ma comunque di sfida.
Pensando ho capito. Mi sono resa conto che questa mia riflessione è nata a seguito di un entusiasmante corso che mi ha coinvolta nel mese di luglio.

Arrivata mi sono trovata davanti un gruppo di poche persone. Di fronte a me coglievo della demotivazione, forse un po' di rancore per l'altra parte del gruppo che stava salendo in vetta e pareva essersi dimenticata di loro, del loro esserci nonostante tutto... sicuramente l'energia era molto bassa. "Che fare?" mi sono chiesta. Poi ho intuito che la domanda da farmi era un'altra, all'apparenza simile ma molto più profonda: "di che cosa ha bisogno ora questo gruppo?".
Avevo delle percezioni e delle assunzioni su come si sarebbero potuti sentire ma sapevo che la cosa migliore in quel momento era prendersi il tempo per capire davvero come stavano e di che cosa avevano bisogno. 
"Partiamo dalla cura", mi sono detta. Così ho cercato di seguire il loro bisogno: trasparenza e onestà prima di tutto. Loro hanno chiarito agli altri e a loro stessi lo stato d'animo che li condizionava e assieme abbiamo provato a capire che cosa farne. Io da parte mia ho inteso che avevano un altro bisogno, non esplicitato, che li condizionava. Avevano bisogno di sentire la mia cura nei loro confronti, avevano bisogno di sapere che, sebbene nessuno di loro aveva idea di cosa aspettarsi dalla giornata assieme, quella giornata era stata pensata per loro.

Davanti a me c'era un gruppo di persone che aveva scelto di non salire per svariati e legittimi motivi, non mi sono sentita di esprimere né di farmi condizionare da alcun giudizio in merito. Per me, in quel momento, non esistevano team di serie A e team di serie B. Avevo davanti un gruppo con cui lavorare e a cui volevo offrire le più numerose possibilità di apprendimento. 

Credo sia a questo punto che ho pensato al rapporto del genitore col proprio bambino, di cui ho già parlato qui. Da genitore vuoi che tuo figlio cresca avendo le migliori possibilità a disposizione, ti auguri che non incontri alcuna difficoltà e vada diritto alle mete che si pone. Ma mi chiedo, è giusto l'augurio di alcuna difficoltà? ...non ne sono sicura.

Davanti al "mio" gruppo ho deciso di non cadere nella sua commiserazione, ho deciso di tenermi lontana dalle mie assunzioni fatte sulla loro demotivazione o demoralizzazione, non ho lasciato prevalere il fantasma del "sentimento di serie B"... sapevo che la "frustrazione" che stavano provando li avrebbe aiutati a crescere.

Un po' come un genitore che nonostante veda il proprio figlio in difficoltà, aspetta a fornirgli la soluzione al problema perché crede nelle sue potenzialità. Ho avuto fiducia nelle persone che avevo davanti, sicura che sarebbero riuscite a fare qualcosa con la frustrazione del momento, lavorando con impegno e portandosi a casa qualcosa di buono dalla giornata. 

Ho offerto loro una sfida. Qualche cosa era stata preparata e pensata anche per loro, appositamente per loro (cura). Era il momento di lasciare che mettessero in campo le loro risorse, era il momento di proporre loro l'attività della giornata (sfida). Sapevo che avevano tutti i numeri per affrontarla."