mercoledì 4 settembre 2013

Allenarci alla resilienza già da piccoli: l'equilibrio tra cura e sfida.

Buonasera a tutti! 
Mi inserisco tra i vostri post, numerosi, intensi, emozionanti e ricchi di spinte di ricerca e crescita. Vi vorrei regalare alcune delle mie riflessioni post Vioz, prese a prestito dal mio blog personale . Che possano essere di spunto per ancora altre, nuove domande! :)

"Nello scorso post ho parlato dell'equilibrio tra cura e sfida che caratterizza il ruolo del formatore esperienziale.
Non appena l'ho pubblicato ho iniziato a chiedermi da dove arrivasse questo mio bisogno di sottolineare l'importanza di non pensare alla formazione come ad un fornire risposte e cure in pillole ma come a una sfida costante, in un contesto protetto, certo, ma comunque di sfida.
Pensando ho capito. Mi sono resa conto che questa mia riflessione è nata a seguito di un entusiasmante corso che mi ha coinvolta nel mese di luglio.

Arrivata mi sono trovata davanti un gruppo di poche persone. Di fronte a me coglievo della demotivazione, forse un po' di rancore per l'altra parte del gruppo che stava salendo in vetta e pareva essersi dimenticata di loro, del loro esserci nonostante tutto... sicuramente l'energia era molto bassa. "Che fare?" mi sono chiesta. Poi ho intuito che la domanda da farmi era un'altra, all'apparenza simile ma molto più profonda: "di che cosa ha bisogno ora questo gruppo?".
Avevo delle percezioni e delle assunzioni su come si sarebbero potuti sentire ma sapevo che la cosa migliore in quel momento era prendersi il tempo per capire davvero come stavano e di che cosa avevano bisogno. 
"Partiamo dalla cura", mi sono detta. Così ho cercato di seguire il loro bisogno: trasparenza e onestà prima di tutto. Loro hanno chiarito agli altri e a loro stessi lo stato d'animo che li condizionava e assieme abbiamo provato a capire che cosa farne. Io da parte mia ho inteso che avevano un altro bisogno, non esplicitato, che li condizionava. Avevano bisogno di sentire la mia cura nei loro confronti, avevano bisogno di sapere che, sebbene nessuno di loro aveva idea di cosa aspettarsi dalla giornata assieme, quella giornata era stata pensata per loro.

Davanti a me c'era un gruppo di persone che aveva scelto di non salire per svariati e legittimi motivi, non mi sono sentita di esprimere né di farmi condizionare da alcun giudizio in merito. Per me, in quel momento, non esistevano team di serie A e team di serie B. Avevo davanti un gruppo con cui lavorare e a cui volevo offrire le più numerose possibilità di apprendimento. 

Credo sia a questo punto che ho pensato al rapporto del genitore col proprio bambino, di cui ho già parlato qui. Da genitore vuoi che tuo figlio cresca avendo le migliori possibilità a disposizione, ti auguri che non incontri alcuna difficoltà e vada diritto alle mete che si pone. Ma mi chiedo, è giusto l'augurio di alcuna difficoltà? ...non ne sono sicura.

Davanti al "mio" gruppo ho deciso di non cadere nella sua commiserazione, ho deciso di tenermi lontana dalle mie assunzioni fatte sulla loro demotivazione o demoralizzazione, non ho lasciato prevalere il fantasma del "sentimento di serie B"... sapevo che la "frustrazione" che stavano provando li avrebbe aiutati a crescere.

Un po' come un genitore che nonostante veda il proprio figlio in difficoltà, aspetta a fornirgli la soluzione al problema perché crede nelle sue potenzialità. Ho avuto fiducia nelle persone che avevo davanti, sicura che sarebbero riuscite a fare qualcosa con la frustrazione del momento, lavorando con impegno e portandosi a casa qualcosa di buono dalla giornata. 

Ho offerto loro una sfida. Qualche cosa era stata preparata e pensata anche per loro, appositamente per loro (cura). Era il momento di lasciare che mettessero in campo le loro risorse, era il momento di proporre loro l'attività della giornata (sfida). Sapevo che avevano tutti i numeri per affrontarla."


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